La chiesa di Saldino

Notizie storiche della chiesa di Saldino o Scaldino (S. Lorenzo in Filipago in Silva Fantina), di Luisa Renzi Donati

Le notizie più antiche

Nelle carte faentine preparate dall’illustre storico mons. Giuseppe Rossini si fa memoria di un certo Berto di Saldino il 4 maggio 1082, mentre un loco Sillini è ricordato in un altro documento del 1054 citato dal camaldolese G. B. Mittarelli (1), e ancora in due atti notarili del Codice di Lottieri della Tosa, il vescovo di origine fiorentina che ospitò a Faenza Dante il 4 febbraio 1289 e morì nel marzo del 1309 (2).
La strada di S. Barnaba, Scaldino, Reda e Albereto, posta a Nord della Via Emilia, dove ben leggibile è di solito l’impianto dell’antica centuriazione romana, è una via alzaia, cioè sopraelevata, che seguiva sull’argine il fiume assecondando le sue deviazioni (3). Nella zona, circa un chilometro a monte della chiesa, una gran base di marmo di buono marmo e dell’ordine romano eretta in memoria di un architetto militare fu trovata l’anno 1599…vicino al nostro fiume Lamone à Saldino, 3 miglia sotto Faenza, con l’iscrittione
D. M.
P. MAECI. P. F.
POL. PROCULI
MIL. CHO.III. PR.
ARCHITECT. AUG.
C. MAECIUS
CRESCES
FRATRI. PIENTISSIMO (4)

D(iis) M(anibus) P(ubli) Maeci P(ublii) f(ilii) Pol(lia tribu) Proculi mil(itis) c(o)ho(rtis) III pr(aetoriae) architect(i) Aug(usti) – C(aius) Maecius Cresces fratri pientissimo [posuit].
La bella stele di età imperiale fu conservata a lungo palazzo del marchese Rodolfo Spada di Faenza, dove fu vista e così tradotta: dedicata alla bona Anima (così diressimo hoggi invece di Diis Manibus) di Publio Mecio cognominato Proculo, figlio di altro Publio, soldato della Terza Cohorte Pretoriana, et Architetto d’Augusto, da Caio Mecio suo fratello, ambedue della Tribù Pollia. Fu poi donata nel 1775 all’Università di Ferrara dal marchese Muzio (5).
Secoli dopo il tramonto dell’impero romano, in età medievale il Comune di Faenza possedette una Silva, che poi, divisa in parti, alienò a privati; doveva trovarsi tra Saldino e Reda, oltre il fiume Lamone. A questo proposito mons. G. Rossini scriveva: Credo fosse quella stessa che qui (negli Statuti pubblicati dal Comune nel 1410 e confermati dal Signore di Faenza G. Galeazzo Manfredi il 31 dicembre 1414) e in altre carte faentine e ravennati è chiamata “Silva Faentina” o “Fantina”, e dove il Comune aveva pure eretta una chiesa in onore di S. Martino (Reda) (6).
La prima memoria della parrocchia rurale di S. Lorenzo in Saldino o Scaldino, sempre secondo il Rossini, risale alla fine del secolo XI o all’inizio del XII, però prima dell’epoca degli Statuti era piuttosto chiamata S. Lorenzo “in Filipago” o “in Silva Fantina” o anche “de Prata Fantina” (7).
Dedicata dunque al martire Lorenzo, il diacono della Chiesa di Roma che ebbe un culto molto precoce e sentito a Ravenna, l’attuale chiesa di Saldino, che apparteneva ai Canonici di Faenza (8), era situata nella posizione dell’attuale, a circa quattro miglia dalla città, confinante “dalla parte di sopra con S. Barnaba; dalla parte di sotto colla Pieve di Cesato e colla parr[occhia] di S. Martino in Reda” (9). Dipendeva, insieme a S. Barnaba, S. Maria in Basiago, S. Giovannino, Reda e Albereto, dalla pieve di S. Stefano in Coloritula (Corleto), dotata di un battistero che serviva tutte queste parrocchie poste sotto la sua giurisdizione (10). Serviva una piccola comunità, e non appare citata nella descrizione minuziosa compilata il 9 ottobre 1371 dal card. Anglico di Grimoard (11), inviato in Romagna tre anni prima da papa Urbano V come vicario generale per la Chiesa di Roma, dove compaiono tutte le ville esistenti nella pianura a valle della Via Emilia, che dovevano essere una sorta di divisioni amministrative, corrispondenti all’incirca alle moderne frazioni (12). Saldino non appare, eppure già c’era, ma era solo una piccola parrocchia…

 

La prima chiesa

La chiesa, situata nella stessa posizione di quella attuale, doveva avere una pianta molto semplice, con una sola navata ed un unico altare orientato, secondo una norma costante dell’antica architettura cristiana, concepita in modo che i fedeli potessero pregare rivolti verso Est. A dire il vero, nelle nostre zone, attraversate dalla via Emilia, una pedemontana che va da sud- est a nord- ovest, gli edifici religiosi poterono avere l’ abside rivolta non verso l’oriente esatto, ma piuttosto verso uno simbolico, rappresentato da Rimini (sud- est), e dunque da Roma, e da Ravenna (nord- est), e dunque da Classe, i due poli dai quali è arrivata la fede che i nostri antenati ci hanno consegnata (13).

Le visite apostoliche

Due secoli dopo, in una situazione storica profondamente cambiata, il pontefice S. Pio V ordinò nel febbraio 1571 che tutte le chiese dello Stato Pontificio fossero ispezionate da un visitatore apostolico. La visita fu interrotta per la morte del papa (1 maggio 1572). Il suo successore, Gregorio XIII, elesse con breve del 2 aprile 1753 il vescovo Ascanio Marchesini visitatore apostolico delle diocesi di Faenza, Imola e Bologna. Questi svolse il compito che gli era stato affidato a Faenza tra il 3 maggio e il 5 agosto 1573. Non si recò personalmente in tutte le parrocchie, chiese, cappelle e luoghi pii: nelle parrocchie e cappelle di campagna dei dintorni di Faenza inviò un suo delegato, il sacerdote don Barnaba Nicolini, della diocesi di Sabina (14). Il 15 maggio, insieme alle chiese di Merlaschio, Mezzeno, S. Martino in Silva Fantina (un oratorio che versava in misere condizioni), Beata Annunciazione, dove si celebrava la S. Messa ogni venerdì di marzo, il visitatore- delegato giunse anche alla chiesa parrocchiale di S. Lorenzo in Scaldino (15).

Constatò che il parroco non aveva uno stato d’anime ben preciso (i parrocchiani erano circa 115) e non teneva il SS. Sacramento “propter tenuitatem fructorum” ( Saldino era una chiesa povera, e conservare il Santissimo comportava una spesa che si aggirava sui 25 scudi). Trovò il cimitero ben chiuso, dunque custodito con cura, visto che in caso contrario sarebbero potuti entrare gli animali. Oltre a raccomandare al rettore e al suo cappellano don Girolamo Gazzoli l’uso del Catechismo, li invitò ad erigere la Confraternita del SS. Sacramento per la manutenzione dell’altare e la distribuzione dell’ Eucarestia agli infermi, ed anche il fonte battesimale, a spese dei parrocchiani, forse perché la pieve (Corleto) era troppo lontana (16). L’invito dovette essere disatteso, visto che i Libri baptizatorum partono dal 20 marzo 1919 (17) e il fonte battesimale nell’aprile del 1948 ancora non c’era (18).

Inventari e opere d’arte

Gli inventari in occasione delle visite pastorali dei vescovi di Faenza nel corso del secolo XVII o forniscono poche indicazioni, o da esse non si può trarre quasi alcuna notizia perché molto rovinati dall’umidità e pressoché illeggibili.
L’immagine della B. V. di Loreto era presente in una delle due “paci” in legno di proprietà della chiesa (19); di fronte alla Icona vecchia di S. Lorenzo,…dall’altro lato evvi un’altra con l’immagine di S. Apollonia”…anneriti dall’ umiditàI (20); di questi due martiri si conservano anche le reliquie (21) .
Forse per questo fu commissionata l’attuale pala, collocata sul muro di fondo, dietro l’altare maggiore, presente nell’Inventario voluto dal vescovo Cervioni negli anni 1726- 29, dove si legge: Nella detta chiesa vi è attacco al muro il quadro con l’Imagine di S. Lorenzo, e della SS. Vergine di Loreto e di S. Apollonia con cornice in stucco di colore di Tartaruca e sue foglie dorate da me fatto nuovo (chi scrive è don Sebastiano Guiducci, parroco di Saldino dal 1696, ucciso nella sua canonica dai ladri la sera del 6 gennaio 1734) (22).
Se l’iconografia del dipinto di Saldino e la sua committenza si ricavano da questi documenti, quanto al suo autore nulla viene detto. E tuttavia, si può azzardare qualche supposizione : la cornice sembra voler emulare, nonostante il materiale povero usato, lo stucco, quella lignea preziosa, laccata, tartarugata e dorata in foglia d’argento meccato, dell’altare maggiore di S. Maria in Basiago, donata alla chiesa nel 1688 dal Cavalier Giacomo Pasi, opera del pittore faentino Tommaso Missiroli, detto il Villano (Faenza, 1635 circa- 1699) (23). A proposito di questo pittore, formatosi a spese del vescovo di Faenza, il card. Carlo Rossetti, a Bologna e molto prolifico nella nostra zona, si apprende dal Valgimigli che, tra i numerosi suoi dipinti c’erano anche il quadro del maggior altare della rurale parrocchia di Reda, nel quale effigiò la Vergine del Carmelo e i santi Martino vescovo e Antonio di Padova nel 1669 (24), una Vergine di Loreto per la chiesetta cittadina di S. Bernardo (25) ed un’altra posta nella sagrestia della dissacrata chiesa di S. Giovanni Battista dei Camaldolesi (26). Ci informa, ancora, che aveva istruito nella sua arte le figlie Teresa, Claudia Felice, Orsola e Paola e ritiene opere del loro pennello alcuni dipinti per i quali aggiunge: Ignoro a quali di codeste si vogliono attribuire (27).
Ritenuto di un ignoto pittore di scuola locale del sec. XVII o XVIII da Antonio Corbara, che già lo vedeva assai sciupato nello stato del colore e della tela, anche se non troppo annerito (28), che sia anche questo dipinto opera di qualcuna di loro?
La pala rielabora la composizione a due piani divenuta tipica dell’altare allungato della Controriforma: in alto è raffigurato uno spaccato di cielo popolato da paffute protomi angeliche. Incorniciano l’immagine della Madonna, che tiene in braccio il Bambino Gesù a mezzo busto, con la mano destra benedicente e con la sinistra reggente il globo, secondo l’iconografia della B. V. di Loreto, la quale ebbe larga diffusione attraverso le incisioni eseguite a scopo devozionale nel Cinquecento. La Vergine indossa una veste bianca solcata da pieghe profonde, dorata nella scollatura; diverse collane si aggiungono ad impreziosirne l’abito. Sui capelli ondulati e sciolti che le incorniciano il viso è calato il triregno, posto sul capo dell’originale statua di Loreto dalla Comunità di Recanati nel 1498. In basso si rivolgono a Lei inginocchiati in preghiera i Santi Lorenzo, a sinistra, e Apollonia, a destra, entrambi con la palma nella mano sinistra, simbolo del martirio, e gli attributi propri, cioè la graticola per il diacono della Chiesa di Roma, le tenaglie entro le quali è ancora trattenuto un dente per la martire di Alessandria d’Egitto.
Tutto esprime una volontà di assoluta leggibilità: i due Santi, rivolti verso la Vergine, spingono i fedeli a fare altrettanto, come la mano destra di S. Lorenzo rivolta verso l’esterno nel gesto dell’intercessione, che invita ad entrare nel dipinto, e a sentire che il Paradiso non è lontano.
Tutto è in sintonia con la tradizione pietistica e devozionale della cultura post- tridentina bolognese, che aveva visto nel 1582 la pubblicazione da parte del card. Gabriele Paleotti del Discorso intorno alle immagini sacre e profane, stampato in città nel 1582, dove si affermava che l’arte deve illuminare l’intelletto, eccitare la devozione e pungere il cuore e si evidenziava l’esigenza del controllo sui contenuti delle immagini sacre dalle quali si vedrà spirare pietà, modestia, santità e devozione. Agli artisti venne così affidata l’elaborazione del colloquio religioso che, nelle intenzioni del Paleotti, doveva essere semplice ed intimo.
Gli Inventari stilati dai parroci di Saldino nella seconda metà del Settecento sono molto rovinati; di scarsa rilevanza ai fini del presente lavoro sono anche quelli ottocenteschi.

Un importante arredo della chiesa si trova ricordato agli inizi del sec. XX (29): si tratta di un Crocifisso la cui immagine…è di stucco fatta dalla Ditta Collina Graziani di Faenza. A commissionarlo e a donarlo alla chiesa fu don Tommaso Gallina, parroco a Scaldino fin dal 1875.
Appeso ad una croce di legno sta il corpo di Gesù con il capo coronato di spine e aureolato reclinato verso destra, il volto incorniciato dai capelli e dalla barba, il ventre fasciato da un perizoma elegante nel nodo e nel drappeggio, lo sterno e gli arti segnati dalle ferite e dal sangue.
Questa scultura trova le sue radici nella Faenza del Settecento, dove avevano lavorato a chiese e palazzi plasticatori di origine ticinese, ed anche ravennati e friulani, ma soprattutto bolognesi come Petronio Tadolini, Ottavio e Nicola Toselli, Pietro e Filippo Scandellari. A questi soprattutto si ispirò Giuseppe Antonio Ballanti (1735- 1824), il capostipite della maggiore bottega di statuari faentini, soprannominato in dialetto Graziàn, per cui i suoi discendenti sono noti con il doppio cognome Ballanti- Graziani, che aveva inizialmente la bottega in via Borgo d’oro (30). Rilegatore di libri e noto incisore su legno e su rame, la cui formazione iniziale mosse dalla cultura tardo barocca, affiancò a questa sua attività quella di scultore, dando origine ad una vera e propria dinastia di famosi plasticatori in cartapesta policroma, stucco, gesso, terracotta (31).
Il figlio maggiore Giovan Battista (1762- 1835), che a quindici anni collaborava già nella bottega paterna trasferitasi in via Bondiolo, perfezionò la sua tecnica di plasticatore presso la Fabbrica di maioliche dei Conti Ferniani nell’ ultimo decennio del Settecento, raffinando il gusto ed aggiornandolo al nuovo indirizzo neoclassico. Una svolta decisiva verso il pietismo romantico ottocentesco avvenne nel 1826, quando in compagnia del fratello minore Francesco (1772- 1847), che con lui conduceva la bottega e si era specializzato in lavori di ornato, visitò Roma sollecitato da Tomaso Minardi, che li ricevette e li ospitò con gioia, portandoli a vedere monumenti e gallerie pubbliche e private e catechizzandoli sui nuovi indirizzi puristici (32).
Tra gli allievi più conosciuti della bottega di via Bondiolo, per la quale sono passati quasi tutti gli statuari e i plasticatori dell’Ottocento, furono, oltre a Giuseppe Ballanti (1819- 1844), figlio di Francesco, il genero Giovanni Collina (1820- 1893) e Gaetano Vitenè (1826- 1906), cognato del Collina, avendone sposato la sorella Virginia, e discendente di una famiglia di orefici di origine borgognona, trasferitasi a Faenza intorno al 1760 proveniente da Roma (33).

In un cinquantennio, tra il 1825 e il 1875, riconoscere la mano dei numerosi artefici delle tante statue policrome da chiesa è spesso impresa assai ardua ché lo stile pietistico ed il formulario degli atteggiamenti ed attributi, la stessa maniera di colorire rende una produzione pressoché uniforme, tecnicamente impeccabile, formalmente corretta, non priva di distinzione e di decoro, ma sempre produzione di bottega. Oltre a Giovan Battista Ballanti, le altre individualità che risaltano nella massa degli statuari faentini del sec. XIX sono il Collina e in minor misura il Vitenè (34).
Giovanni Collina, era entrato da ragazzetto come garzone nella bottega, ma per capacità di apprendere e vivacità di mente era divenuto l’allievo prediletto di Giambattista che lo inviò a Firenze perché si perfezionasse in scultura col Bartolini. Ritornato a Faenza con lusinghieri attestati dei professori fiorentini, ne sposò la nipote Rosa ed alla morte di lui divenne il capo della Ditta assumendo il cognome di Collina- Graziani. Gli diedero poi presto manforte i due figli Giuseppe (1847- 1916) e Raffaele (1852- 1938), insieme a qualche altro parente (35).
Unico allievo fin dall’età di nove anni di Gaetano Vitenè fu il nipote Enrico Dal Monte (1882- 1968); aveva integrato il suo apprendistato alla Scuola di Disegno “T. Minardi”, dove aveva conosciuto i vari componenti del cosiddetto Cenacolo baccariniano. Alla morte dello zio, ventiquattrenne, divenne il proprietario della bottega che gestì successivamente assieme al figlio Gaetano, detto Tano (1916- 2006), con sede in corso Mazzini prima, in via Sarti poi (36). Aveva comperato nel 1930 dai lavoranti dell’officina Collina- Graziani tutto, stampi e diritti e al suo nome già affermato poté aggiungere quello di successore dei Ballanti- Graziani (37).
Uscite con tutta probabilità da queste botteghe, le statue della chiesa di Saldino, per le quali le fonti d’archivio non danno alcuna indicazione, sono collocate entro nicchie.

Sono quella di S. Antonio Abate, il grande eremita egiziano, la cui lunga vita si colloca tra il terzo e il quarto secolo dell’era cristiana, veneratissimo specialmente nelle campagne, in quanto protettore degli animali. E’ raffigurato come un anziano monaco con lunga barba e capelli bianchi sui quali è calato il cappuccio, il bastone e la fiamma ai piedi, legata ad una tradizione nata in terra tedesca nel Medioevo, quando i monaci antoniani allevavano i maiali per curare l’Herpes Zoster, conosciuto come fuoco di S. Antonio.

Segue quella del Sacro Cuore, vestito di una tunica bianca (cui si aggiunge qui il mantello rosso), che mostra con la mano sinistra il cuore in petto, riconducibile al Crest in Camisa, come veniva confidenzialmente chiamato (38).
I primi impulsi alla devozione del Sacro Cuore vennero dalla mistica tedesca del tardo Medioevo; tuttavia la grande fioritura del culto si ebbe nel corso del secolo XVII, con la pratica dei primi nove venerdì del mese, nata in seguito alla Grande Promessa rivelata da Gesù a S. Maria Margherita Alacoque, consistente nella perseveranza finale per chi si fosse comunicato, in stato di grazia, il primo venerdì di nove mesi consecutivi (…Essi non morranno in mia disgrazia, ma riceveranno i Santi Sacramenti- se necessari- ed il mio cuore sarà loro sicuro asilo in quel momento estremo).
La festa, celebrata dapprima in Francia, si estese a tutta la Chiesa cattolica nel 1856. Dopo tale data si diffusero gli Atti di consacrazione, sorsero ovunque cappelle, oratori, chiese; si moltiplicarono le immagini di devozione; venne avviata la pia pratica della Comunione nel primo venerdì del mese e furono composte le Litanie del Sacro Cuore, mentre il mese di giugno fu dedicato al suo culto.

Dalla parte opposta trova posto una Madonna con il Bambino, definita nel piedistallo B. V. Buon Consiglio (39). La Vergine, stante, regge con il braccio sinistro il piccolo Gesù con le gambine in asimmetrico movimento, stilema questo della statuaria faentina (40); indossa una veste dai finimenti dorati nella scollatura e alla cintura e un manto blu che le incornicia il capo scendendo fino a terra. Il titolo di Madre del Buon Consiglio (Mater Boni Consilii), che nel 1903 papa Leone XIII aggiunse alle litanie lauretane, con cui viene invocata la Vergine, è di origine antica e fu diffuso specialmente dagli Agostiniani.

Ristrutturazione recente

La piccola chiesa di S. Lorenzo è stata restaurata un’ultima volta recentemente: alla pratica inviata alla Soprintendenza di Ravenna nel 1998 hanno tenuto dietro i lavori, che hanno visto la partecipazione, accanto ai professionisti incaricati, anche di tanti ex parrocchiani di Saldino, che hanno offerto idee, materiali, competenze, mano d’opera gratuitamente.
Così questo piccolo edificio, povero da sempre, si presenta accogliente con i suoi intonaci rifatti, con la sua tinteggiatura fresca, con il pavimento in cotto che ha conservato al centro una porzione dell’antico, e convenientemente illuminato e riscaldato. Sull’altare ha trovato posto un tabernacolo in legno dorato proveniente da un altare minore di Reda; sono state restaurate le panche e l’antico ed unico confessionale, collocato a destra di chi entra, ricordato nel 1734 come già uso (41). Antonio Corbara lo ha minutamente descritto: incassato nel muro, a fronte leggermente sfuggente sui due fianchi; tre archeggiature a tutto sesto definiscono in alto lo stallo centrale e i due recessi laterali, divisi tra loro da eleganti pilastrate corredate da formelle incastrate a punte, con fondi incrostati di radica (42). Si tratta di un pezzo di pregio: che sia arrivato qui da altro edificio religioso a poco prezzo perché uso? L’organo, che adesso non c’è più, era stato comperato dall’arciprete di S. Pierlaguna (43).

Elenco dei rettori

Si riporta a mo’ di appendice l’elenco dei rettori di S. Lorenzo, compatibilmente con i documenti rintracciati, che hanno custodito nei secoli la loro piccola, povera ma generosa, comunità.

  • Accarisio, 1231
  • Giovanni, 1242- 48
  • Nascolus o Nassolo, 1301
  • Bartolo, 1316
  • Graziano, 1331
  • Giovanni, 1341
  • Giacomo di m°. Chilino di Bologna, 1416
  • Evangelista di Francesco di Adriano, 1450
  • Paolo di Marco de la Pidevra, 1462
  • Tonio o Tomaso di m°. Arcangelo, 1468
  • Francesco Girolamo fu m°. Antonio Grossi, eletto dai canonici nel 1469
  • Nevolone di Batt. da S. Illaro, eletto dai canonici nel 1490
  • Nevolone Vandi di Accarisio, 1496
  • Gian Girolamo ferrarese, 1505
  • Cristoforo di Salvucci de’ Tramazzoni de’ Rondinini di S. Giorgio (investito l’11 luglio 1505, rinuncia l’ 1 giugno 1517)
  • Giovanni Zannoni, 1519
  • Bartolomeo Armenini, dal 1558, ricordato nel 1573, il 15 maggio
  • Filippo Bucci, 1598- 1607
  • Bartolomeo Mondini, 1608
  • Pietro Baldassarri, 1620
  • Girolamo Errani, 1635
  • Giuseppe Alberghetti, 1654
  • Giov. Battista Morini, 1663
  • Francesco Onofrio de’ Alleviis, 1679 (rinuncia il 21 novembre 1696)
  • Sebastiano Guiducci, 1696 – 1734
  • Filippo Bajafini, 1737
  • Paolo Bassi, 1745
  • Carlo o Carlantonio Fabbri, 1763
  • Giuseppe Renzi, 1817
  • Antonio Torregiani, parroco dal 15 agosto 1825
  • Tommaso Gallina, 1875
  • Giovanni Foschini, 1921
  • Luigi Liverzani (arciprete a Pieve Corleto, nel 1952 economo spirituale a Saldino)
  • Pietro Zambetti, economo spirituale nel 1953, poi parroco; rinuncia il 30 aprile 1969
  • Stefano Casadio, economo spirituale dal 1969
  • Elio Cenci, parroco dal 1970, poi sostituto “ad omnia”, quando nel 1974 viene nominato parroco a Reda
  • Nel 1986 la parrocchia di Saldino è stata aggregata a quella di Reda

Note

1. C. Mazzotti, Albereto di Faenza, Faenza, Stab. Grafico Fratelli Lega, 1966, p. 17.
2. Cfr. Atti notarili n. 142 (6 febbraio 1291) e n. 143 (10 marzo 1291) de Il Codice di Lottieri della Tosa (a cura di G. Lucchesi), Faenza, Fratelli Lega Editori, 1979, p. 124.
3. L. Savelli, L’assetto centuriale dell’agro Faentino, in “Parliamo della nostra città”, Atti del Convegno, Faenza 21- 23-28- 30, Castelbolognese, Grafica Artigiana, 1977, pp. 73- 77.
4. P. M. Cavina, Commercio de due mari, in Faenza per Giorgio Andrea Zarafagli, 1682, p. 3.
5. G. Rossini, Le antiche iscrizioni romane di Faenza e dei “Faventini”, Faenza, Stabilimento Grafico Fratelli Lega, 1938, pp. 74- 75; A. Medri, Faenza scomparsa, Faenza, Società Tipografica Faentina, 1937, p. 10.
6. Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXVIII, parte V, Statuta Faventiae, vol. I, a cura di G. Rossini, Bologna, Nicola Zanichelli, 1930, p. 35, nota 9.
7. Ivi, p. 261, nota 4.
8. Schedario Rossini, in Biblioteca Manfrediana di Faenza (da ora in poi BCF), all’anno 1138 circa.
9. Archivio Vescovile di Faenza (da ora in poi AVF), cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1833.
10. S. Cortesi, Il Novecento a Pieve Corleto: vita e storia di una comunità parrocchiale, Faenza, Stefano Casanova Editore, 2006, p. 82.
11. L. Mascanzoni, La “Descriptio Romandiole” del Card. Anglic, Bologna, La Fotocromo Emiliana, 1985.
12. C. Mazzotti, Cenni storici su Formellino, chiesa parrocchiale presso Faenza, Faenza, Società Tipografica Faentina, 1935, pp. 16- 17. A distanza di quattro secoli, nel 1762, troviamo altre notizie dovute ad un censimento privato: la tavola della “Colonna Esperide Faentina”conservata nel Palazzo del Comune parla di Villa di Saldino, con 213 anime.
13. G. Lucchesi, Pieve di S. Pietro e cappelle urbane nel Medioevo, in “Parliamo della nostra città”, cit., pp. 113- 114.
14. C. Mazzotti, Cenni storici su Formellino, cit., pp. 22-23.
15. Ivi, p. 27.
16. AVF, cartella n. 2, V. P(astorali).
17. Visita Marchesini, 15 maggio 1573, pp. 179v., 180r., 181v.
18. Cfr. I libri parrocchiali della diocesi di Faenza, a cura di E. Bonzi, Bologna, La Fotocromo Emiliana, 1983, voce “Saldino o Scaldino”.
19. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1948.
20. AVF, cartella n, 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1726- 29.
21. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1734.
22. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1833, cit.
23. L. Renzi Donati, La Chiesa di S. Maria in Basiago, Modigliana, Tipo- Litografia Fabbri, 2015, p. 26.
24. G. M. Valgimigli, Tommaso Missiroli detto il Villano, in “Atti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia per la Provincia dell’Emilia, Modena, 1877, p. 128.
25. Ivi, p. 129.
26. Ivi, p. 132.
27. Ibidem
28. A. Corbara, Scheda di Catalogo della Soprintendenza ai beni artistici e storici di Bologna,, 1933, e revisione del 13 giugno 1968, in BCF, donazione Corbara, busta Faenza Contado, fascicolo Saldino.
29. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1910.
30. Secondo Antonio Zecchini, il soprannome Graziani dato alla “bottega” dei Ballanti venne dalla “grazia, congiunta all’ispirazione e al sentimento religioso, che seppero infondere nell’arte loro” (Cfr. A. Zecchini, Il Cenacolo Marabini, Faenza, Stab. Grafico F. Lega, 1952, p. 41).
31. M. Vitali, Ballanti Giuseppe, in “Manfrediana”, Bollettino della BCF n. 26, 1992, p. 37.
32. E. Golfieri, L’arte a Faenza del Neoclassicismo ai giorni nostri, parte prima, Imola, Grafiche Galeati, 1975, pp. 59- 61.
33. E. Golfieri, L’arte a Faenza dal Neoclassicismo ai giorni nostri, parte seconda, Imola, 1977, Grafiche Galeati, p. 67
34. Ivi, parte prima, p. 61.
35. Ivi, parte prima, p. 62; parte seconda, p. 3.
36. S. Cortesi, La scultura faentina in cartapesta (1750- 1960), Faenza, Tipografia Faentina Editrice, 2012, pp. 91- 109.
37. A. Fogli, La cartapesta nell’arte ovvero le statue da l’arie pietose, Ravenna, Edizioni Studio Effe, 2012, p. 176.
38. Ivi, p. 101.
39. Fu donata alla chiesa da Rosa Missiroli il 26. 4. 1970 (da una comunicazione dell’Ufficio di Catalogazione della Diocesi).
40. A. Fogli, La cartapesta nell’arte, cit., p. 124.
41. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1734, cit.
42. A. Corbara, Scheda di Catalogo, cit., revisione del 13 giugno 1968, in BCF, cit.
43. AVF, cartella n. 51, S. Lorenzo in Scaldino, 1894- 1912, cit.